"Non ha casa la speranza sulla terra / non ha più rami il mio corpo / la follia fermenta nella carne / almeno tu Dio non rompere l'amicizia".
Il canto poetico di Turoldo si è spento, nel febbraio '92, dopo una sofferenza di grande dignità e di profondi smarrimenti di cui sono testimonianza i versi sopra trascritti.
Uomo del mio tempo è il titolo di una mostra - omaggio alla figura del frate-poeta, allestita presso lo Studio Masserini Arte Contemporanea, in via S. Tomaso 49/B a Bergamo.
L'idea di questa mostra è nata da un rapporto di collaborazione tra Turoldo e la pittrice bergamasca Patrizia Masserini iniziato nell'86 che portò allora alla pubblicazione dell'edizione Parola e Immagine presentata alla Pro Vertova e successivamente a Trento con il patrocinio del Comune di quella città. Gli incontri e gli scambi culturali si sono fatti sempre più frequenti; lavorando continuamente sul tema dell'uomo con le sue ansie e le sue problematiche, la pittrice ha ultimato una sequenza di dieci grandi tele.
Nel 1991 lo stesso Padre Turoldo ha dedicato all'opera della Masserini un poemetto inedito dal titolo: E tu sempre più a fondo nel gorgo.
Ecco ora che questa fatica viene presentata al pubblico bergamasco che ben ha conosciuto, apprezzato e amato sinceramente la figura serena e ieratica di Turoldo, testimone incisivo del vivere dell'uomo contemporaneo e della sua ricerca di assoluto dentro le contraddizioni dell'esistenza.
In occasione della mostra è stata stampata una elegante cartella, edita dalla Lediberg, dove sono raccolte le poesie, il poemetto inedito e le tavole con le riproduzioni a colori delle opere, con prefazione di Lino Lazzari.
Patrizia Masserini si è misurata con le sollecitazioni del testo utilizzando e raffinando le sue tecniche già collaudate; non si tratta di illustrazioni ma di interpretazioni che nascono prima di tutto dal sentire personale. La parola poetica dà spessore di contenuto, traccia dei confini all'indagine ma non ne esaurisce la portata espressiva. L'operazione artistica si configura come un ciclo, come una serie in sequenza che vede nella germinazione il suo inizio e nella sublimazione la sua fine. La materia pittorica si fa via via più evanescente, il soggetto sembra scomparire per lasciare solo una scia, una traccia, una stele che si perde nell'infinito.
Anche il colore vibra di tinte pastello e sembra comporsi di elementi aerei e vegetali, contrapponendo la leggerezza della speranza alla tellurica presenza del reale. Elementi giocati con raffinata destrezza, frutto di studi preparatori a lungo pensati e mai affidati ad una estemporanea improvvisazione.
Uno sforzo interpretativo meditato e riuscito, quello della Masserini. Una corposa testimonianza, aspra, vitale e mistica, il poemetto di Turoldo... la mostra non è solo testimonianza di uno squisito rapporto tra due figure intellettuali ma un vero e proprio omaggio alla profondità di un pensiero che ha trovato in terra bergamasca il luogo della sua appassionante concretizzazione.
Una lettura inconsueta del paesaggio. è l'operazione di Patrizia Masserini (presso lo spazio omonimo di via S. Tomaso a Bergamo) che si è sempre misurata con i temi fondamentali della pittura del nostro secolo. Non si tratta di visioni bucoliche che rasserenano lo spirito: i tagli, le striature, le cancellazioni, le graffiature in primo piano o in dissolvenza si caricano di significati simbolici e si legano indissolubilmente alle tematiche ambientali. Come a dire: guardare un paesaggio con occhi innamorati, affermare una partecipazione emotiva è anche gridare una lacerazione, una ferita ancora aperta, un'apocalisse annunciata e forse inevitabile. Nello stesso quadro trova spazio un cielo percorso da nuvole inquiete (le nuvole di Tosi e dei chiaristi lombardi), così luminoso che rende ai verdi delle colline bagliori scintillanti di ombre e luci.
Poi subito uno scarto: in primo piano l'aggressione degli elementi più spuri, anomali, fili di ferro, plastica e cemento, grovigli di strade, geografie improbabili, lame di acciaio e tagli di vetro che lacerano ogni bucolica visione. La storia va avanti nel suo racconto ma lo scenario diventa incombente, come succedeva nel bellissimo film di Amelio Il ladro di bambini: non c'è lo squallore delle periferie urbane o l'aggressione alle coste del sud ma i nostri boschi bruciati e l'incombere dell'urbanizzazione selvaggia, la minaccia della rottura di un equilibrio e il crollo di un mito, la perdita d'identità e lo smarrimento. La pittrice sembra trovare un po' di pace solo nei sei pastelli della Val Rossa in cui la gioia dell'esprimersi si coniuga con un particolarissimo stato di grazia.
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